I Distillatori italiani tra preoccupazioni, prospettive e riforme auspicabili. Parla Sandro Cobror (AssoDistil)

L’economia circolare, il possibile impatto sulla filiera nazionale dei distillati degli gli accordi col Vietnam e col Mercosur, la necessità di una riforma fiscale: Sandro Cobror, direttore di AssoDistil, spiega le preoccupazioni, le esigenze e le prospettive di un comparto che punta alla valorizzazione delle eccellenze

I due accordi (in parte da ratificare) dell’Ue con Vietnam e Mercosur fanno soltanto in parte piacere ai distillatori italiani che vedono tutelato l’indicazione geografica Grappa in sud America e sono allo stesso preoccupati dalle massicce importazioni di alcole previste dai trattati. Ma non è questo il solo tema affrontato da Sandro Cobror, direttore di AssoDistil, l’Associazione dei Distillatori Italiani, in quest’intervista. C’è anche il problema del perdurare di una tassazione iniqua sui biocarburanti più ecologici, la necessità di un ammodernamento della pubblica amministrazione che va di pari passo con l’opportunità di una riforma fiscale, la promozione della Grappa nel mondo e l’adozione di modelli di sviluppo sempre più sostenibili e “circolari”.

Direttore, come valuta la firma dell’accordo tra l’Unione Europea e Mercosur?

Dobbiamo distinguere due aspetti dell’accordo UE-Mercosur. Il primo riguarda la protezione delle nostre indicazioni geografiche, in particolare la Grappa IG, per la quale l’accordo va valutato sostanzialmente in maniera positiva, grazie al ritiro graduale dal mercato nei Paesi Mercosur di prodotti a denominazione protetta. Il secondo aspetto mostra aspetti di particolare preoccupazione relativamente all’importazione dai Paesi Mercosur di 450 mila tonnellate di alcole all’anno “duty free” per uso “chimico” accompagnate da altre 200 mila tonnellate all’anno di alcole a tariffa estremamente ridotta per qualunque uso. In sostanza, si parla di una quota di alcole pari al 12% circa del mercato dell’alcole etilico rinnovabile europeo. Una reale minaccia per i produttori europei di alcole uso industriale che vedono così minato il proprio business da importazioni da Paesi che, per diversi motivi, beneficiano di costi di produzione molto più bassi dei nostri.

E sull’accordo con il Vietnam qual è la vostra valutazione?

Con riferimento all’accordo con Vietnam, posso solo dire che questo comporta, dopo l’accordo siglato coi Paesi Mercosur con relativi enormi volumi di import di etanolo a dazio zero, ulteriori quote di import di diversi prodotti che possono entrare nell’UE senza dazi e tra questi l’etanolo, ma anche zucchero e prodotti ad alto contenuto di zuccheri ed altri amidi che possono essere utilizzati per produrre alcole. E’ evidente che il continuo abbattimento di dazi di importazione da Paesi terzi per materie prime e prodotto finito, non può non impattare sulla competitività della filiera nazionale. Tuttavia, è anche evidente che, in questa dinamica, l’impatto più rilevante per le dimensioni dei volumi connessi lo avrà l’accordo da poco siglato con i Paesi Mercosur.

Come promuovere l’internazionalizzazione e la competitività delle imprese della distillazione sul mercato globale?

Le imprese del settore distillatorio nazionale da anni stanno mettendo in atto politiche commerciali per promuovere la vendita oltreconfine dei prodotti di eccellenza, come i distillati, puntando proprio sulla indiscutibile qualità delle produzioni nostrane. Parallelamente, le aziende più strutturate del comparto hanno maturato la consapevolezza della natura circolare delle proprie produzioni che, valorizzando materie prime spesso di scarto, permette la generazione di una molteplicità di prodotti ben oltre il solo alcole e che trovano destinazione nell’industria alimentare, cosmetica, della nutraceutica, della mangimistica, fino ad arrivare all’industria delle costruzioni ed il settore energetico, dal bioetanolo al biogas, dall’energia verde al biometano. Il tutto con positivo impatto ambientale ed utilizzando tecnologie innovative. In definitiva, la sfida della competitività si vince puntando su qualità, innovazione e sostenibilità, ed è quello su cui scommettono le imprese del settore distillatorio.

In caso di un nuovo aumento delle accise la quasi totalità dei produttori scaricherebbe l’aumento sui prezzi. Quali politiche consiglia per promuovere il settore e l’aumento del gettito delle accise?

La storia ci insegna che un aumento delle accise non comporta automaticamente un aumento di gettito. Anzi, in generale, un aumento delle accise, non potendo che scaricarsi sui prezzi, comporta una diminuzione dei consumi soprattutto per quei prodotti considerati beni voluttuari, come i distillati. Noi crediamo che la politica fiscale del Paese debba tener conto dell’impatto che eventuali aumenti hanno sui settori più virtuosi dell’economia italiana. Come detto, la distillazione si pone come modello di economia circolare e, come tale, andrebbe sostenuta e non depressa da politiche fiscali troppo rigide. Una riforma fiscale auspicabile, oggi, in un momento storico nel quale l’ambiente rappresenta forse il tema più rilevante, dovrebbe appunto tener conto di quale sia l’impatto ambientale delle produzioni e tassare meno i prodotti ottenuti secondo i modelli di produzione sostenibile come fanno appunto le distillerie.

Un esempio emblematico di come le accise colpiscano indiscriminatamente, riguarda la tassazione dei prodotti energetici, in particolare i biocarburanti: il settore distillatorio produce, tra gli altri, anche il bioetanolo, ovvero il biocarburante più sostenibile in commercio con oltre il 70% di riduzione di emissioni della benzina. Ebbene, le accise sul bioetanolo sono equivalenti a quelle gravanti sulla benzina e molto più elevate rispetto a tutte le altre bioenergie, sebbene il bioetanolo sia una delle bioenergie più virtuose ambientalmente. Questa situazione penalizza i consumi di bioetanolo mentre si dovrebbe correlare l’imposizione fiscale sui diversi carburanti e biocarburanti con l’impatto ambientale così da incentivare la domanda di bioetanolo e quindi aumentare gli investimenti in nuove distillerie, con benefici ambientali e probabilmente con aumenti di gettito per l’erario.

Quali misure andrebbero prese per ridurre la burocrazia del comparto?

La burocrazia rappresenta uno dei problemi più grandi che affliggono il nostro Paese e non solo il settore distillatorio: lentezza nel disbrigo delle pratiche amministrative, difficoltà di accesso a finanziamenti, norme numerosissime, complesse e farraginose e spesso per questo oggetto di interpretazioni diverse anche tra le diverse amministrazioni pubbliche, sono solo alcuni dei problemi che denunciano gli operatori che si trovano a spendere molta parte della loro giornata per risolvere appunto pratiche “burocratiche”. Il problema non è di facile soluzione e parte da una migliore e più efficiente organizzazione della “cosa pubblica” che presuppone anche un notevole snellimento e razionalizzazione dell’intera macchina burocratica.

L’informatizzazione dei sistemi, in parte in atto, certamente può dare una mano ma servono meno regole, più chiare e tempi certi se si vuole davvero dare una prospettiva al Paese ed evitare di disperdere patrimoni umani, culturali e di impresa verso l’estero. Il settore distillatorio, nonostante la complessità burocratica aumenti, da decenni resiste in maniera caparbia e, forse proprio per la determinazione che anima i nostri operatori, è anzi convinto di poter giocare un ruolo sempre più rilevante nel panorama dell’industria nazionale grazie alla valorizzazione delle nostre eccellenze da una parte, come la Grappa IG, ed alla adozione di modelli sempre più sostenibili e circolari dall’altra.