Dai Monti Lepini a Subiaco cinghiali a caccia di tartufi: danni alle tartufaie, produzione giù

tartufo estivo monti lepini

A rischio non c’è solo la raccolta estiva del tartufo “scorzone” ma anche la produzione del nero pregiato di Carpineto Romano e del bianco invernale di Subiaco apprezzato in tutta Italia: Monti Lepini e Valle dell’Aniene nelle stesse condizioni

Cinghiali e piogge scarse minacciano i tartufi dei Monti Lepini e di Subiaco, che rimane una ricchezza ambita da difendere. In queste settimane i tartufai sublacensi e lepini, da Carpineto Romano a Segni, da Maenza a Cori, sono in piena raccolta. Il prezzo dello scorzone (così si chiama il tartufo dell’estate) varia tra i cento e i centoquaranta euro al chilo e quello ipogeo è uno dei funghi più ambiti per i piatti tipici montani. La produzione varia da zona a zona e fino ad ora ha risentito della carenza di piogge, che influenzano la consistenza del fungo (più secco in questo periodo).

La situazione sui Monti Lepini

Sui Monti Lepini non c’è accordo su come sta andando la stagione e forse dipende dalle singole tartufaie. “È un’annata buona anche se si sta risentendo delle poche piogge” racconta il raccoglitore segnino Riccardo Corsi. Secondo Nello Roccaccio, storico organizzatore della sagra del tartufo nero di Carpineto Romano, si registra un calo generale. Corsi e Roccaccio sono invece d’accordo su cosa sta minacciando e danneggiando le tartufaie: i cinghiali.

“Quello dei cinghiali è un grave problema – dice Corsi – perché più passa il tempo e più stiamo perdendo tartufaie. Dove prima si faceva un chilo di tartufi, ora se ne fa mezzo e non si sa che fare perché nessuno si occupa del problema”. “Le tartufaie sono quasi ferme per questioni climatiche – afferma Roccaccio – e quelle poche che potevano produrre hanno subito molti danni da parte dei cinghiali. Come minimo, tra cinghiali e clima, – aggiunge – credo che quest’anno ci sarà un 60-70% in meno di produzione, basta guardare le vendite su internet: chi vende i tartufi ne vende al massimo un chilo perché non c’è la quantità”.

L’appello alla Regione: “Ascolti il grido di dolore del territorio”

Mentre nella Valle dell’Aniene si pensa a una petizione per contenere il cinghiale, da Carpineto Romano, nel cuore dei Monti Lepini, il sindaco chiede alla Regione di “ascoltare il grido di dolore del territorio”. “Negli ultimi anni – dice Stefano Cacciotti – il fenomeno degli ungulati è esploso in tutta Italia provocando seri danni alle colture e numerosi incidenti. Anche Carpineto Romano, dopo aver risolto a proprie spese il problema dei bovini inselvatichiti all’interno del centro abitato e averne fortemente ridimensionato la presenza sulle strade extra urbane, negli ultimi mesi ha dovuto fronteggiare questa emergenza con un numero di capi aumentato in maniera esponenziale specialmente a ridosso del centro abitato. Spero che la Regione Lazio ascolti il grido di dolore dei territori – prosegue Cacciotti –, ovvero di cittadini e coltivatori, di attivare con urgenza quanto necessario per la riduzione e il contenimento dei cinghiali e di accelerare l’iter di approvazione della legge regionale ancora oggi in discussione nelle Commissioni”.

L’allarme che viene da Subiaco

Clima a parte, i problemi legati ai cinghiali colpiscono tutta la produzione: gli animali non disdegnano lo scorzone né l’uncinato, vanno alla ricerca del nero pregiato e del bianco. D’inverno quest’ultimo è tipico tra la Valle dell’Aniene e la Valle del Giovenzano, nella zona di Subiaco, dove viene venduto anche a 2-3 mila euro al chilo. Il cinghiale sta facendo razzia anche lì, tra i boschi e i monasteri della Valle Santa, tanto cara a San Benedetto.

A raccontarlo è Marcello Proietti, raccoglitore di Sambuci che ha un laboratorio di prodotti artigianali. “Bianco, uncinato e scorzone è uguale: i cinghiali stanno distruggendo tutto. Da trent’anni vado a tartufi – dice Proietti – e negli ultimi anni quei funghi sono entrati nella dieta dei cinghiali. Fino a cinque-sei anni fa andava bene perché gli animali ne trasportavano le spore, ora invece mi pare che non mangiano più niente se non tartufi, lumache, e i bulbi delle orchidee che nascevano nei nostri boschi. I tartufi bianchi di Subiaco – aggiunge – sono apprezzati anche ad Alba ma, se continua così, in altri due o tre anni anche quelli saranno finiti”.

A Subiaco i raccoglitori stanno raccogliendo le firme per chiedere un intervento pubblico che regoli i cinghiali anche perché, dai Monti Lepini alla Valle dell’Aniene, se tramonta il tartufo, che sia scorzone, nero, uncinato o bianco, tramonta anche l’ennesima fonte di reddito di un territorio montano in via di spopolamento. E tramonta anche il sogno della valorizzazione dei luoghi tramite la gastronomia. Sempre che sul cinghiale non sia fatta una politica più ragionevole.